Una critica al capitalismo sfrenato e alle spaccature di classe della società, in un dramma che scava nell’animo umano lasciando chi lo guarda con la consapevolezza che non c’è niente che valga più del nostro tempo
Distopico, potente, fuorviante nella misura in cui, riducendo il tempo a una mera valuta commerciale, ne esalta il vero valore. È la forza di Paradise, un thriller fantascientifico diretto e scritto dal regista tedesco Boris Kunz e distribuito in Italia da Netflix a partire dal 27 luglio 2023. Presentato in anteprima mondiale al Festival del cinema di Monaco, il lungometraggio è ambientato in un futuro prossimo in cui, in un sistema capitalistico che privilegia le élite della società, la multinazionale Aeon offre ai cittadini più poveri grosse cifre in denaro in cambio di alcuni anni della loro vita, poi usati dai ricchi per processi di ringiovanimento. Un tuffo nel grande oceano del progresso biotecnologico in cui i due protagonisti, Max (Kostja Ulmann) e la moglie Elena (prima Marlene Tanczik, poi Corinna Kirchhoff), devono imparare a stare a galla, con il pericolo costante di affondare.
Ed è proprio sulle contraddizioni dell’evoluzione scientifica che l’opera galleggia quando, a corto di soldi, la coppia si ritrova a dover imboccare una strada senza uscita: lei, infatti, dovrà cedere quarant’anni della propria vita, precedentemente ipotecati per l’acquisto di un appartamento di lusso poi andato in fiamme. Da qui il via a una vicenda semplice, lineare ma vincente, durante la quale Max proverà in tutti i modi a invertire il processo di invecchiamento della compagna, ricredendosi sui vantaggi del programma di sviluppo e trasferimento di vite umane brevettato dalla Aeon (di cui è stato dipendente dell’anno). Antagonista risoluta e ferma nel suo unico credo, Sophie Theissen (Iris Berben), fondatrice e Ceo della grande azienda e beneficiaria della “donazione” di Elena.
Così, intrecciando le perplessità e i traumi di una donna costretta a invecchiare precocemente e i ripensamenti di Max, che viene coinvolto da vicino dalle conseguenze della compravendita di tempo, la pellicola si trasforma da thriller sci-fi distopico in dramma intimo, che evidenzia le incongruenze della psiche umana. Si è davvero disposti a rinunciare alla propria vita per soldi? Il benessere economico è solo un’effimera e apparente via di fuga dai guai della quotidianità? Esiste un confine tra la giusta morale e ciò che si è disposti a fare assecondando il progresso tecnologico?
A queste domande, Paradise risponde criticando il capitalismo sfrenato (con cui i benestanti si arricchiscono sempre di più a scapito delle classi meno agiate), le ampie e (troppo) profonde spaccature di classe e una società che impone ritmi frenetici e scadenze sempre più restrittive, finendo per provocare ansie e piegare la giovinezza a un tempo in cui correre incessantemente per trovare il proprio posto nel mondo. La pellicola, girata per la gran parte in luoghi scuri e dall’atmosfera cupa, disegna il confine labile tra etica e progresso, ricordando l’importanza intrinseca del tempo, superiore di gran lunga a quella del denaro.
E ancora, parla di decisioni da prendere, compromessi da accettare, opportunità da bilanciare con le loro ripercussioni sulla routine di ogni giorno. Perfino il titolo sembra richiamare l’attenzione dello spettatore a misurare attentamente la distanza tra l’aspirazione a una giovinezza eterna, corredata da una felicità fittizia, e il godimento per una vita ordinaria, ma impregnata di vera gioia. E proprio nello spazio tra le due, sta la scelta tra il paradiso artificiale e quello naturale.
Paradise, dunque, è sì un thriller fantascientifico, una distopia che abbraccia un futuro prossimo (e, almeno al momento, improbabile), ma è anche un dramma che scava nell’anima umana, lasciando chi lo guarda con la consapevolezza che il ticchettio dei nostri orologi è più forte di qualsiasi altra valuta o merce di scambio. Perché “comprare la vita di qualcuno (anche in modo figurato) è un altro modo di togliergliela”. E non c’è niente che valga più del nostro tempo.
Foto in copertina e nell’articolo: @netflix