Il velocista siracusano ha raccontato il proprio percorso fino al professionismo. E sulle Olimpiadi di Parigi 2024: “È un obiettivo, ma non deve diventare un’ossessione”
Impegno, dedizione e sacrificio. Gli ingredienti che, dalle prime gare al camposcuola di Siracusa, hanno portato Matteo Melluzzo a vestire azzurro. Presente e futuro della nazionale italiana di atletica leggera, il velocista classe 2002 non ha mai bruciato tappe e, dopo aver collezionato numerose soddisfazioni, sogna le Olimpiadi di Parigi 2024. Tra aneddoti, passioni e qualche risata, si è raccontato in una lunga intervista.
Com’è nata la tua passione per l’atletica?
È nata per caso. Mi sono ritrovato al camposcuola in un gruppo di ragazzini e ho iniziato a giocare. All’inizio non si fanno veri e propri allenamenti, ma si trascorre il pomeriggio insieme. Mi sono trovato bene e ho continuato con l’atletica.
Hai cominciato ad allenarti a Siracusa. Con chi?
Ho iniziato con un’istruttrice della “Milone Siracusa”. Dopo qualche anno, è subentrato mio papà e ho iniziato ad allenarmi con lui: eravamo un gruppo di circa 20 ragazzi. Con il tempo, però, molti non riuscivano a conciliare sport e studio e hanno mollato. Alle fine, ci siamo ritrovati io e mio padre.
Come vi rapportate da questo punto di vista?
Distinguiamo bene le due figure. A casa siamo papà e figlio e al campo siamo allenatore e atleta. Abbiamo trovato un nostro equilibrio che è davvero bello. Oggi è difficile che succeda: molti atleti hanno come allenatori i loro genitori e a volte il rapporto non funziona molto bene.
Ti ricordi la tua prima vittoria?
Ero abbastanza piccolo: avrò avuto 11 o 12 anni e ho vinto una gara di salto in lungo. All’inizio si provano quasi tutte le specialità, in modo da capire i propri punti di forza. La sensazione di essere in aria per un po’ di tempo e atterrare sulla sabbia era bellissima.
Quale è stato il tuo percorso per arrivare in nazionale?
Il mio percorso per arrivare in azzurro è stato molto complicato: avevo 17 anni e in quell’anno c’erano i campionati Europei under18. Per essere convocato in nazionale dovevo fare un tempo inferiore a 10.80 sui 100 metri. All’ultima gara disponibile mi sono fermato a 10.83 e non ce l’ho fatta per tre centesimi. Ero sconsolato: non mi sono allenato per tutta l’estate. Quando sono tornato in pista per la prima gara della stagione successiva ho corso in 10.49 e mi ha scritto la nazionale per convocarmi a un raduno. Tutta la rabbia che avevo dentro l’ho messa in quella gara. Subito dopo ho vinto il titolo italiano under 18 sui 60m indoor e mi hanno convocato per una gara 60m indoor con la squadra under20, in cui sono arrivato secondo.
Cosa hai provato la prima volta che hai indossato la maglia dell’Italia?
È stato molto emozionante. L’anno in cui ho vestito azzurro per la prima volta hanno fatto le maglie delle selezioni giovanili uguali a quelle della nazionale maggiore. Ho aperto il borsone, ho visto la canotta e ho detto: “Pazzesco, la maglia che ha Tortu… (ride, ndr)”.
Quanti giorni alla settimana e quante ore ti alleni?
Dallo scorso anno abbiamo iniziato a fare sei allenamenti alla settimana, quindi solo la domenica come riposo. L’orario varia in base agli allenamenti e ai periodi: in inverno dobbiamo fare tanto carico e qualche allenamento può durare anche 3 ore e mezza; in estate e poco prima delle gare faccio rifinitura e mi alleno 30 minuti o 1 ora. Nelle ultime due settimane a Roma, alcuni giorni mi sono allenato mattina e pomeriggio perché dovevo curare la forza e la corsa. Avrò fatto 16-17 allenamenti, ma non è una cosa regolare: lo faccio in alcuni periodi, nei quali c’è bisogno di valutare alcuni particolari con degli specialisti che mi aiutano con angoli, posture…
Come hai vissuto il passaggio al professionismo con le Fiamme Gialle?
È stato un processo molto graduale, che è andato di pari passo con la mia crescita. Si vociferava che, qualora avessi limato i miei tempi, un gruppo sportivo potesse chiamarmi. A 17 anni ho fatto circa 10.49 sui 100m e quasi tutti i gruppi sportivi mi hanno attenzionato. L’anno dopo ho vinto il titolo italiano under18 sui 60m indoor e sui 100m outdoor, ho vinto la medaglia d’argento ai Giochi Olimpici della gioventù a Baku e avevo i requisiti per fare un concorso. Si sono presentati tutti i gruppi sportivi e ho pensato che la scelta migliore potesse ricadere sulle Fiamme Gialle.
Hai una routine pre-gara?
Quando le cose vanno bene non si cambiano (ride, ndr). Il giorno della gara cerco di dormire il più possibile e faccio un pranzo abbastanza leggero, ma che sia ricco di energia. Poco prima della gara ascolto un’ora di musica e inizio il riscaldamento, aiutato dal mio osteopata. Faccio alcuni esercizi e poi scendo in pista.
La situazione più buffa che ti è capitata in pista?
Non è successo a me perché avevo già corso ed ero in tribuna a guardare le altre gare, ma agli Europei under20 un gatto ha attraversato la pista. Stranissimo, qualcuno ha anche ripreso…
E la più difficile?
L’Europeo di quest’anno. Siamo stati squalificati ed è stata una grande delusione. Abbiamo passato tutta la giornata in camera, senza voglia di uscire. Ma ci rifaremo.
Hai corso contro Jacobs e Tortu. Racconta…
L’anno scorso ho gareggiato contro entrambi. La corsa più bella è stata ai campionati italiani assoluti di Rovereto: sono arrivato secondo dietro Marcell e un mese dopo lui ha vinto le Olimpiadi. Con Filippo abbiamo corso insieme ai campionati italiani assoluti indoor. Però non erano andati benissimo, anche perché rientravo da un infortunio.
Da piccolo pensavi di arrivare a questi livelli? Desideravi diventare un atleta?
Non pensavo che avrei mai intrapreso una carriera da atleta. È successo tutto in un’estate: tutti possono correre 10.80 sui 100m. Abbassare il mio tempo di quasi mezzo secondo mi ha proiettato in un’altra dimensione. Dopo la brutta delusione del 10.83 sui 100m mi sono posto un chiaro obiettivo. Fino a quel momento non credevo di entrare nel professionismo, correvo in maniera dilettantistica. Dopo quell’estate è cambiato tutto.
Due bronzi agli Europei U20 nella staffetta e nei 100m, finale ai mondiali U20 a Nairobi, record italiano di categoria sulla staffetta. Sogni le Olimpiadi di Parigi 2024?
Parigi 2024 è l’obiettivo che ci stiamo ponendo con il mio allenatore e tutto il mio team, ma non deve essere un’ossessione. L’obiettivo sarà Los Angeles 2028.
Prossimi impegni?
Quest’anno inizierò la stagione molto presto, verso gennaio. Voglio correre da protagonista alle indoor, quindi a gennaio e a febbraio farò molte gare al coperto. Gli obiettivi per il 2023 sono il mondiale assoluto e il campionato europeo under23. Non so ancora chi saranno gli avversari, ma agli Europei punto almeno alla finale.
Oltre all’atletica hai altre passioni? L’Inter, ad esempio…
Adesso non è un buon momento… (ride, ndr). Però sì, l’Inter è una mia passione. Fin da piccolo sono sempre stato appassionato di calcio. Se dovessi fare una classifica con i miei sport preferiti, il calcio verrebbe prima di tutti, anche dell’atletica. L’atletica è il mio lavoro, ma meno gare vedo, meglio è: guardarla da fuori mi mette ansia, il calcio, invece, mi piace molto. Vorrei andare a vedere l’ottavo di finale di Champions League, non so se a Milano perché potrebbe coincidere con le mie gare. Ma a Porto penso di andare.
Studi?
Sì. Ho vinto una borsa di studio alla Luiss e sono entrato nel “Luiss sport program”, un progetto mirato per gli atleti. Da quest’anno studio economia e management.
Cosa consiglieresti ai ragazzi che vorrebbero diventare dei velocisti?
Stare sereni perché l’ansia frega tutti, me compreso. Quando scendo in pista e inizio a pensare a cose che non c’entrano nulla con la gara, ho perso in partenza. Bisogna stare tranquilli, pensare solo a divertirsi e al lavoro fatto per onorare al meglio l’impegno.